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“Less is more”, è una frase che ormai è entrata nel nostro linguaggio quotidiano.

Essa va di pari passo con una tendenza radicatasi a partire dagli anni ‘60 nel mondo dell’arte, chiamata “Minimalismo”: un modo di intendere la realtà più semplicemente, liberandosi di ciò che non è essenziale. Nessuna espressività e freddezza emotiva.

Dall’arte, il concetto di minimalismo si è esteso ben presto a tutti i campi dell’attività umana, primo fra tutti l’architettura.
Chi già ne abbracciava i valori (ancor prima che si chiamasse “minimal”) fu proprio l’inventore del motto “less is more”, l’architetto e designer tedesco Ludwig Mies van der Rohe (Aquisgrana, 27 marzo 1886 – Chicago, 17 agosto 1969).

Minimal si nasce.

Essendo il figlio di un maestro muratore di Aquisgrana, Mies van der Rohe inizia la sua carriera lavorando sui cantieri. Qui comprende l’importanza dei processi di costruzione, della pratica e del materiale.

Da questa esperienza deriva la ricerca di ridurre l’architettura all’osso, “skin and bone”, appunto. Ovvero: mantenere gli elementi base, rivelare la struttura, non aggiungere, non coprire, non adornare. L’essenziale è ciò che serve, basta la sua assoluta semplicità.

Van der Rohe struttura un proprio linguaggio creativo, in cui i particolari architettonici e la struttura siano visibili, liberati “dalle forme” e, perciò, universali. Crea, così, spazi minimali, neutrali e contemplativi.

L’architettura del vetro.

Il vetro è il materiale perfetto per concretizzare la sua idea di architettura. Sostituisce le pareti, crea uno scambio tra interno ed esterno, massimizza la luce. Rappresenta trasparenza, purezza e semplicità.

Con questo elemento, unito ai pilastri e alle strutture in acciaio, negli anni ‘50 Van der Rohe costruisce ad esempio Casa Farnsworth, per un ricco medico di Chicago. Qui non ci sono muri, bensì tutta la casa è chiusa da pareti di vetro.
L’interno è interamente aperto, ad eccezione delle stanze riservate, nascoste dai pannelli di legno. Solo due superfici ben visibili: il pavimento e il tetto. A dividerli, 8 colonne d’acciaio, disposte in due file parallele.

Van der Rohe estende il suo minimalismo alle abitazioni, ai padiglioni e agli edifici lavorativi: progetta grattacieli con piante cristalliformi, come il Seagram Building a New York (realizzato insieme a Philip Johnson). Il suo linguaggio culmina nella Neue Nationalgalerie, il Museo di Arte Contemporanea di Berlino: un grande padiglione completamente vetrato di 2600 mq, supportato da otto pilastri in acciaio.

Minimal è eleganza.

Ambienti luminosi, ampi, ordinati, in cui risaltano le linee e le geometrie. Estrema sintesi e perfezione tecnica.
Il minimal ora è sinonimo di eleganza e stile senza tempo. Entrando nelle case e negli uffici è diventato il simbolo per eccellenza dell’architettura contemporanea.

Eliminati gli elementi ridondanti, gli ambienti sono finalmente a tutta luce.

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